Papa Giovanni XXIII - Un Ragazzo Innocente.
Bibbia Papi e Beati Papa Giovanni XXIII Dovunque a Casa Sua Far Bene il Papa Il Buon Pastore Il Coraggio del Concilio Il Padre dei Galeotti Il Papa Beato Il Patriarca dei Poveri Il Segretario Fedele Il Seminarista Fedele Il Viaggiatore di Dio L'Amico dei Bulgari L'Amico dei Francesi L'Amico dei Greci L'Amico dei Turchi L'Amico dei Veneziani L'Umile Glorificazione La Chiesa che Cammina La Pace è la Casa di Tutti La Sapienza del Cuore L'Ispirazione del Concilio Per la Giustizia e la Pace Prefazione Tutto il Mondo è la mia Famiglia Un Conclave a Sorpresa Un Incontro Ecumenico dopo Quattro Secoli Un Uomo Mandato da Dio Vogliate leggere nel Mio Cuore Un Ragazzo Innocente PAPI E BEATI - PAPA GIOVANNI XXIII - UN RAGAZZO INNOCENTEINTRODUZIONERimase sempre l'Angelino di Sotto il Monte su questa la testimonianza di chi lo ha frequentato e conosciuto meglio da Papa. «Salendo cogli anni, rimase fedele al villaggio natale, cui tornava a dissetarsi come a pura fonte»: Loris Capovilla, il segretario fedele, garantisce di questo per esperienza diretta. Fu sempre lo stesso Papa Giovanni a rammentare con tenerezza il villaggio natale, la casa povera e amata, la famiglia patriarcale in cui, spontaneamente, era sbocciata la vocazione sacerdotale che doveva portarlo poi sulla cattedra di Pietro. «Eravamo poveri - ha raccontato più volte al segretario - ma contenti della nostra condizione e fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza. Alla nostra tavola mai pane, ma polenta; niente vino ai ragazzi e ai giovani; raramente carne; appena a Natale e a Pasqua una fetta di dolce casalingo. Il vestito e le scarpe per andare in chiesa dovevano bastare per anni e anni. Eppure, quando un mendicante si affacciava alla porta della nostra cucina dove i ragazzi - la grande famiglia patriarcale contava ventotto persone - attendevano impazienti la scodella della minestra, un posto c'era sempre per lui e mia madre s'affrettava a far sedere lo sconosciuto accanto a noi». La forza dei ricordi non è mai rimasta, in Papa Giovanni, emozione superficiale. È stata piuttosto un aiuto. «La grazia del Signore - riconobbe un giorno - mi aiuta a non dimenticarmi mai del mio villaggio e dei campi dove i miei lavorano con semplicità e fiducia, guardando al sole che è splendore di Dio». Sotto il Monte è cresciuto a dismisura, da quando Papa Giovanni giunse tanto in alto. Ma il suo nucleo più semplice è rimasto intatto, ed è la casa di Brusìcco, dove Angelino nacque il 25 novembre 1881. Quella casa dagli archi nudi e dalla scala di legno è già un santuario, mèta di ininterrotti pellegrinaggi da ogni parie del mondo. Chi cerca l'anima di Papa Giovanni, chi s'ostina ad interrogare il suo «segreto», non ha che da guardare con occhi semplici quel paesaggio, quella casa, quella gente, e tornare indietro, con la fantasia, di ottant'anni. Solo così è possibile scoprire qualcosa dell'affettuosa, quasi ostinata insistenza del futuro Papa su questa povertà e su questa semplicità. Egli ha sempre saputo che da quella semplicità era stato difeso e arricchito in tutta la sua vita, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista religioso. Sotto il Monte, per lui, infatti non significa soltanto la terra, o i muri impregnati di ricordi indelebili; è sempre stato il senso e la ricchezza degli uomini che hanno plasmato e fatto da esempio alla sua anima e alla sua vita sotto quel cielo e fra quelle mura. La sua infanzia a Sotto il Monte non è durata più di dieci anni, ma è stata già tutta orientata verso la certezza del sacerdozio e l'impegno dell'apostolato. Non c'è stato un solo giorno, negli ultimi anni di quella fanciullezza, in cui abbia potuto concepire la propria vita senza farsi prete. Sul letto dell'agonia, confesserà ancora al proprio segretario che l'unico elogio cui terrebbe davvero sarebbe quello per cui si dicesse che egli è stato soprattutto «un buon prete». La gratitudine per Sotto il Monte, per la Colombèra, la «casa» grande, per i luoghi e le persone da cui mai si staccò nel suo cuore, è un motivo ricorrente nelle sue lettere più amichevoli. Da Istanbul, nel 1940, scriveva a un amico: «Io non so spiegare a me stesso l'attaccamento che più e più s'accentua nel mio spirito per questo piccolo angolo di mondo dove nacqui, donde rimasi quasi tutta la mia vita assente, e dove amerei di finire in pace i miei giorni... Girando il mondo trovo tutto più vago ed interessante di quello che non siano i miti colli orobici, pur così belli, specialmente quelli che fanno corona alla città. Ma veramente, a dirla col buon Torquato, "riveder non posso parte più cara e più gradita" del mio paesello natìo». Da Parigi, già Nunzio Apostolico, si rammaricava di dover essere salutato, al posto d'onore, in Nôtre-Dame, con nome e cognome, e scriveva, allo stesso amico: «Il predicatore si prese il bel gusto di apostrofarmi con tanto di nome e titoli, in faccia alla augusta assemblea foltissima di uomini di alto rango. Oh, povero me! Ho proprio pensato alla Colombèra e a Sotto il Monte». E nell'Epifania del 1948 scriveva ancora, sempre da Parigi: «Ricordo tutti i miei concittadini di Sotto il Monte, uno per uno, di cui sono fiero: più fiero che di essere parigino». Riconosceva addirittura di essere stato educato... alla diplomazia solo a Sotto il Monte. Nel 1950 scriveva: «Voi sapete che io amo congiungere i rami della mia vite all'umile tralcio di Sotto il Monte, dove, in fondo, ho appreso le prime e le più importanti lezioni di diplomazia». Erano spesso piene di rimpianto le sue parole: «Un buon parroco bergamasco - ma questa è per il buon umore - mi ha presentato un giovane scrittore che ora pare vada per la maggiore, benché a me non piaccia il suo stile, perché io gli fornisca dati per la mia biografia, sapendo, lui, lo scrittore, che ci saranno novità in autunno. Che ingenui!... Invece pare assicurato che in settembre avremo semplici ma liete novità nuziali alla Colombèra ed alle Gerole dei miei nipoti Zaverio e Martino. Oh, queste sì, sono cose belle e serie fra umile gente che pensa al Paradiso, più che alle vanità mondane, anche mondane del mondo ecclesiastico. Intanto viviamo alla giornata, con confidenza in Dio». Veduta del cortile del caseggiato dove nasce Angelo Roncalli UNA TRIBÙ DOMESTICAAngelino era il quarto di tredici figli. Giovanni Battista Roncalli e Angela Mazzola avevano avuto prima di lui, Maria Caterina, Teresa e Ancilla. Era un bambino delicato, che solo dopo qualche anno si sarebbe sviluppato saldamente nel fisico, più ancora degli altri fratelli. Di diverso da loro conservò sempre la timidezza, e una certa difficoltà a comunicare di colpo con gli altri, per cui, in momenti d'emergenza, era portato ad apparire un estroverso mentre, in realtà, si trattava di un timido. Sembra incredibile ma il Papa del dialogo è stato, da bambino, taciturno e schivo, difficile alla parola, tanto che furono in molti, specialmente tra i compagni di lavoro, di scuola e di giochi, a ritenerlo addirittura un ritardato.La famiglia - ventotto persone - era una vera e propria tribù. Colui che è stato salutato come un «patriarca» ha effettivamente respirato e vissuto, da fanciullo, in un'atmosfera patriarcale, in cui lo zio Zaverio - il «Barba» come si diceva da quelle parti per indicare il capofamiglia quando era scapolo - esercitava le funzioni familiari e religiose del patriarca. In quella gelida mattina del 25 novembre 1881 raffiche di vento e di pioggia gelida scendevano ululando dal Monte Canto. Il neonato era apparso piuttosto gracile e delicato, tanto che si volle battezzarlo subito. Due ore dopo che era nato, lo zio Zaverio volle portarlo in chiesa per il Battesimo. Il padre restò accanto alla sposa, lo zio avvolse Angelino in una coperta, e accompagnato da un fratello, andò a cercare il parroco. Fu una specie di inseguimento, perché zio Zaverio voleva evitare la gente, i cortei, i complimenti, e anche perché il freddo poteva danneggiare il bambino. La chiesa di Santa Maria era vicina alla Colombèra, ma il parroco, don Francesco Rebuzzini, nonostante il tempo da lupi, non era in casa. Non era neanche in canonica. Era andato in città. Zio Zaverio non si scompose. - Sedette e fece sedere gli altri su una panca della Chiesa; prese la corona del rosario e cominciò a pregare. Qualcuno obiettò che il bambino poteva avere freddo e fame. Ma zio Zaverio era irremovibile: «Se non piange - disse - vuol dire che sta bene». Così Angelino fece la sua prima anticamera nella Chiesa in cui doveva, dopo ottant'anni, diventare il pastore supremo. Il parroco giunse presto, ed in tutta fretta il battesimo fu amministrato. Per lunghi anni, nella vita, Angelo Giuseppe Roncalli, Delegato in Bulgaria, Turchia e Grecia, Nunzio Apostolico a Parigi, Patriarca di Venezia, ha avuto modo di esercitare la pazienza e l'attesa con maggiore consapevolezza e fatica che non quel giorno Angelino neonato, sulle panche della chiesa di Santa Maria. Ed è stata proprio quella pazienza a creargli nello spirito le condizioni ideali per renderlo degno del più alto ministero cristiano. «Finalmente tuo figlio è cristiano» - gridò felice zio Zaverio alla madre del bambino, quando glielo ebbero riportato fra le braccia. Egli resterà per sempre, e proprio per questa intensità di anima cristiana e limpidezza di vita, l'esempio a cui il nipote, da sacerdote e da Papa si richiamerà più spesso, e con maggiore emozione spirituale. In un profilo biografico da lui stesso riveduto, Papa Giovanni scrive di zio Zaverio: «Uomo pio, devotissimo e istruito la sua parte nelle cose di Dio e della religione. Egli diede al figlioccio, senza l'intenzione di farne un prete, quanto di più edificante e di efficace potesse riuscire di avviamento alla preparazione, non di un semplice sacerdote, ma di un vescovo e di un papa, quale la Provvidenza l'avrebbe poi voluto e costituito. Della sua cultura religiosa, basti dire che egli era familiare alla lettura delle meditazioni del padre Luigi Da Ponte. Seguiva il Bollettino Salesiano e i giornali cattolici di Bergamo... Fu lui, il pro-zio Zaverio che, da quando il bambino cessò di aver bisogno della mamma, se lo prese tutto per sé, e gl'infuse con la parola e con l'esempio le attrattive della sua anima religiosa». Mamma Marianna non era da meno dello zio, insieme al marito Giovanni Battista, nell'intenerire i ricordi del figlio giunto tanto lontano: «Oh, che mamma! Oh che coscienza semplice e pura, tale conservatasi sino alla più tarda età, in amore ed in venerazione dei suoi dieci figli e di tutta la parrocchia!». Una famiglia unita e di poche parole, dove il pudore dei rapporti esteriori era compensato dalla profonda sensibilità umana di ciascuno. I genitori di Papa Giovanni XXIII: Marianna Mazzola e Giovanni Battista Roncalli LE BUGIE DI ANGELINOI Roncalli vivevano a mezzadrìa nelle terre del conte Ottavio Morlani. I campi erano in collina, e piuttosto avari. Il guadagno, anche in generi di prima necessità, era scarso, mentre la fatica era dura, ininterrotta. Papa Giovanni, nei momenti di maggior buonumore, era solito scherzare su questa condizione di mezzadri dei suoi. Appassionato di ricerche storiche sulla propria famiglia, aveva raccolto tutti gli elementi per conoscere la propria origine. Una volta raccontò ad un amico: «Pare che verso il 1500 la nostra famiglia si sia trasferita a Sotto il Monte a coltivare la terra a mezzadrìa, provenendo forse dalla Valle Imagna. In queste mie innocenti indagini sull'origine dei Roncalli, risalendo nei secoli sino al 1500, pare che si trovino sempre come mezzadri a Sotto il Monte». E concludeva, sorridendo: «Perché uno dei sistemi per rimanere sempre poveri è quello di fare il mezzadro».Solo dopo molti anni, Giovanni Battista Roncalli - «con una parsimonia che avrebbe fatto arrossire uno scozzese», come scrisse un giornalista tedesco - mise insieme la somma sufficiente ad acquistare il terreno della cascina Colombèra: ventisette acri di terra in tutto. Fu quello l'unico segno di una certa agiatezza che si ebbe in famiglia. Per il resto, tutto andò, per anni, come andava per le più povere famiglie della zona. Le case d'inverno erano gelide, d'estate soffocanti. Nei mesi caldi il tanfo delle stalle - che in quelli freddi creava invece intimità e calore - era spesso insopportabile, invadeva ostinato i muri, le suppellettili, gli abiti. Abiti che poi erano voltati e rivoltati innumerevoli volte, di figlio in figlio, via via che uno cresceva e li lasciava al più piccolo. Grande pulizia e dignità, ma anche grandi tòppe dappertutto. Anche il vitto non aveva variazioni: polenta e latte il mattino, polenta e formaggio, più la minestra e la verdura, a mezzogiorno, e patate la sera. Solo rarissimamente faceva la sua apparizione in tavola una fettina di salame, appena appena strofinata sull'aglio. Soltanto a Pasqua o a Natale, pastasciutta condita con sugo. Papa Giovanni rievocava spesso quella volontaria ma anche involontaria parsimonia, e ne sorrideva: «Io sono certo cresciuto in un ambiente più che autosufficiente». Ricordava, però, anche di non aver mai preso un raffreddore o un'influenza, o uno dei tanti malanni che sembrano obbligatori per i bambini in tenera età. Qualche volta successe che si lasciasse vincere anche lui dalla gola, nell'infanzia. E per coprire il furto di una scorpacciata di fichi secchi, dovette ricorrere ad una bella bugia. Un giorno mamma Marianna aveva portato a casa un cestino di fichi secchi, e l'aveva nascosto sotto il letto. Andata alla Messa, che non perdeva quasi mai, Angelino, notando l'involto misterioso, andò a vedere di che si trattava, e non resistette. Mangiò fichi secchi a quattro palmenti, quindi tornò a letto e fece finta di nulla. Ma la mamma, appena tornata, capì cosa era successo, e non tanto dall'inesperienza con cui il bambino aveva rimesso a posto il cesto, quanto dai dolori di pancia che egli dovette accusare quasi subito. «Angelino, hai mangiato i fichi?» - domandò severa la mamma. - «Io no» - disse il bambino. Ma subito il mal di pancia lo tradì. Un'altra bugia di Angelino è stata raccontata dal nipote sacerdote, Don Giovanni Battista Roncalli: «Il 2 agosto, Angelino era andato al convento francescano di Baccanello per il Perdono d'Assisi. Poi, invece, s'era smarrito a bighellonare per la campagna. Quando tornò, il parroco gli chiese se il frate avesse fatto anche la predica. Angelino disse di sì. E il frate, aveva indossato la cotta o no? Certo che l'aveva indossata! Angelino non s'era ricordato che i religiosi, quando predicano, sono esentati dall'indossare la cotta, come i preti. Il parroco capì la bugia, e non gli fece mancare la debita romanzina. E Papa Giovanni commentava ancora, tanti anni dopo, in dialetto: Chèla còta del frà la m'à imbroiat: è la cotta del frate che m'ha imbrogliato». Angelino aveva sei anni, e doveva cominciare ad andare a scuola. Ciò che Papa Giovanni ricordò sempre con tranquilla sincerità è io scarso profitto nello studio. D'altronde, pur essendo un bambino tanto sensibile e curioso delle cose, molto era distratto dalle prime fatiche a cui doveva accudire nonostante l'età. In una tribù di contadini come quella, ed a quei tempi, i ragazzi andavano a scuola presto, ma ne uscivano più presto ancora, distratti e stancati dai lavori della casa e dei campi. Tuttavia, nei ricordi del futuro Papa, anche quella lontana stagione scolastica è commovente: significa, oltre tutto, il primo contatto preso dal ragazzo con i libri, e il suo inconsapevole amore per la cultura. CINQUE IN ARITMETICAIl primo maestro di Angelino Roncalli fu zio Zaverio, che lo intratteneva con le letture serali della Bibbia e della meditazione del Da Ponte. Ma occorreva mandarlo a scuola. Il bambino aveva sempre risposto che gli sarebbe piaciuto studiare. A sentir leggere s'incantava, e poi, per lunghe ore, durante il giorno, seduto sul pavimento o col naso ai vetri della finestra che dava sulla piazza del paese, univa istintivamente realtà e fantasia. Tutti i vecchietti che passavano per la strada erano per lui altrettanti "nonni". La sua fantasia era viva e ricca, ma sempre intrisa di immediato senso della realtà. Capiva che i libri aiutano nella vita, ma e probabile che non abbia mai sentito che potessero bastare a tutto, nella vita. D'altronde, i primi risultati scolastici furono disastrosi.Babbo Roncalli lo aveva portato a scuola da Don Luigi Bolis, parroco della frazione di Carvico. Le raccomandazioni del padre erano state molto esplicite, e il severo sacerdote non le aveva prese alla leggera. Papa Giovanni ricordava spesso quella disciplina, la vera e prima disciplina faticosa della sua vita, e non mancava di mettere bonariamente l'accento sui sistemi pedagogici di Don Bolis. «La grammatica» ricordava «mi fu cacciata in testa a furia di manrovesci sulle orecchie». Il padre aveva infatti pregato il sacerdote di usare metodi molto spicci: «Se non ha voglia di studiare, bastonatelo!» Francamente, oggi, siamo in grado di capire che Don Bolis esagerava. A un ragazzo di nove anni, oltre ai rudimenti del leggere e dello scrivere, volle insegnare subito anche il latino (addirittura sul De bello gallico) e l'aritmetica. Le conseguenze erano da prevedere. Alla prima pagella, Angelino ebbe cinque in aritmetica e quattro nelle altre materie. Ma non si perse d'animo. Continuò a frequentare i libri più per conto suo, oltre che per disciplina scolastica, per cui, mentre prendeva voti così bassi, suo padre andava scoprendo sempre più chiaramente che quel ragazzo non era fatto per restare sui campi. Intanto dalle materie elementari, Angelino era passato a quelle del ginnasio. La disciplina di Don Bolis non aveva più senso, e d'altronde neanche il sacerdote se la sentiva più. Consigliò i genitori ad iscrivere il ragazzo al collegio di Celana, a sette chilometri da Sotto il Monte. Per Angelino fu una gioia, ma la fatica, invece che diminuire aumentò: si trattava infatti di percorrere quei sette chilometri a piedi, coi libri sotto il braccio e le scarpe in spalla, per non consumarle troppo. Inoltre nessuno lo aveva dispensato dai lavori nei campi. Don Bolis era severo. Papa Giovanni ricordava: «L'esigente Don Bolis dopo poche lezioni mi invitò a tradurre il primo libro del De bello gallico. Io dovevo tradurre e trovare il soggetto e i complementi e, se commettevo un errore, ricevevo purtroppo per punizione uno schiaffo. Mi fece persino inginocchiare fuori di casa». Ma la fatica del viaggio di andata e ritorno da Celana non era meno dura per il ragazzo, anche se andare per la strada di campagna, fra tante cose consuete, gli piaceva assai di più. Il clima patriarcale in cui quei primi contatti con i libri avvennero ha semplificato e reso serene anche le conseguenze future. La cultura di Papa Giovanni è quella che la Bibbia chiama "sapienza del cuore", quella stessa che lo ha reso capace di contare i giorni della vita e di avvicinare il cuore degli uomini, come egli confessò a Venezia, «a passi rapidi e silenziosi». Tanti anni dopo, durante una conversazione confidenziale con Jean Guitton, a Castelgandolfo, egli riassunse mirabilmente il carattere della propria cultura, rivelando che si trattava piuttosto di sapienza viva. Additando l'osservatorio pontificio della villa, il Papa disse allo scrittore: «Guardi: questi astronomi per osservare il cielo stellato devono ricorrere a una quantità di apparecchi perfezionati. Io, invece, li ignoro. Metto un passo dopo l'altro, nella notte». IL FURTO DELLE ZUCCHELa sua fanciullezza non ebbe nulla di straordinario. Il biografo che volesse cercarvi i segni premonitori cari alla agiografia tradizionale, troverebbe assai poco, oltre alla mitezza, alla devozione, alla pensosità intensa, alla tenerezza costante che si rivelano come componenti della sua personalità in formazione.In quella fanciullezza non vi sono miracoli, né di scienza né di cultura, come s'è visto. Vi sono le cose comuni e consuete di un ragazzo di quel tempo, di quell'età, di quella condizione. Vi sono anche alcune marachelle, che, tutto sommato, depongono a favore della sua genuinità infantile. Vi è il furto e l'indigestione di fichi secchi, ad esempio. E, come qualcuno racconta, vi è il furto delle zucche. Un giorno Angelino, dopo la funzione in chiesa, si lasciò convincere dai compagni ad andare per i campi. Con ancora la cappetta addosso, scorazzarono per i fossi e i prati. Ad un tratto scorsero in un campo delle enormi zucche, condimento tradizionale del minestrone paesano e succulento "companatico" per contadini poveri come quelli. Tutti ne presero, senza starci a pensar troppo sopra. Anche Angelino, nell'entusiasmo dell'avventura, portò a casa una zucca enorme. Ansimante e sudato, la depose in un angolo, mentre la famiglia era già a tavola. Cerca di darsi un contegno disinvolto, ma l'occhio di zio Zaverio lo ha già fulminato: - Dove hai preso quella zucca, Angelino? È solo un episodio, ma sta a significare gli esempi di onestà che il ragazzo ricevette in casa, e che non dimenticò mai. Li assimilò anzi tanto che una volta, nel collegio di Celana, avendolo i compagni incolpato presso l'assistente di aver introdotto cianfrusaglie di cancelleria senza il permesso, non se ne discolpò nemmeno. Molti anni dopo già in Bulgaria, durante il famoso malinteso di Re Boris con la Santa Sede, il Delegato Roncalli fu giudicato, anche in Curia, a Roma, un credulone e un inetto. Ma egli si limitò a un solo appunto nel diario: «Il Signore sa che ci sono, e questo mi basta». Così per tutta la vita. Più era spontaneo e sincero, più accettava di esporsi, di pagare di persona per aver fiducia negli uomini, più fu incompreso, e anche calunniato. Il "mite e umile di cuore" non si ribellò mai; pensò sempre che era già tutto previsto, e che dagli uomini, anche dai migliori, non è giusto attendere l'impossibile. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. LA CANDELETTA E IL SALINOUna delle passioni più vive del fanciullo Roncalli fu quella del servizio in chiesa; a questo lo portava il suo temperamento riflessivo, l'esempio di devozione profonda che tutti gli davano in casa, l'entusiasmo e l'ammirazione che nutriva per il suo parroco. In tunichetta e cotta, amava servire le funzioni sacre, con predilezione per il rito dei battesimi, in cui portava con fierezza "la candeletta e il salino".Spesso si comunicava. A sette anni aveva potuto ricevere, in via eccezionale, la prima comunione. Senza cerimonie speciali, in una mattina deserta, aveva compiuto il passo che solo più tardi Pio X autorizzerà, a quell'età, per tutti i bambini. Era il 31 marzo 1889. Il 13 febbraio dello stesso anno ricevette la Cresima, a Carvico, da mons. Gaetano Camillo Guindani. Anche da Patriarca di Venezia erano frequenti le sue visite a Baccanello, le sue conversazioni ora devote ora facete con i frati. Lì si abbandonava sempre ai ricordi, e disse più volte che la campanella del convento era per sua madre l'"orologio della polenta" cioè il segnale di mettere la polenta nel paiolo. Fu presto "terziario francescano", e se ne sentì sempre onorato. Ma i suoi esempi restarono i preti che, in un certo senso, facevano tutt'uno con la sua famiglia. La Provvidenza guidava questo "san Francesco del secolo XX" verso la cattedra di Pietro, e non ve lo conduceva attraverso i conventi. La sua pietà di fanciullo e di adolescente appare limpida e intensa dalle pagine del Giornale dell'Anima. È il diario di un sacerdote, è la conferma di una vocazione del cuore. Un giorno si dovrà giungere ad accostare questo straordinario documento di spiritualità - da cui è sbocciato l'uomo più "moderno" della nostra epoca - alla Storia di un'anima di Santa Teresa di Lisieux. Il suo pensiero fu sempre quello del sacerdozio. Lo confessò apertamente, moltissime volte: «Vi confidiamo di aver sempre pensato, fin dall'infanzia, a divenire Sacerdote: giammai vi fu, negli anni della preparazione, il minimo dubbio su ciò, nemmeno la più lieve discussione. Incominciai ad ascoltare il soprannaturale richiamo allorché, ancora fanciullo, spesso osservavo dalla finestra di casa il Parroco del paese, dal tratto sempre affabile, sereno, ricco di bontà. Ne conoscevo la dedizione al sacro ministero e specialmente la sua grande carità, per cui tutti ricorrevano fiduciosi a lui. Debbo il primo manifestarsi della devozione nel contemplare quanto faceva il primo sacerdote che vedevo e che mi aveva battezzato». Anche in quegli anni infantili, il suo cuore rivelava la disposizione a credere prima agli uomini che alle astrazioni. Il sacerdozio del più grande Papa dei tempi moderni è sbocciato dall'esempio inconsapevole di un uomo genuino e di un vero sacerdote. DUE LIRE IN TASCAAngelo Roncalli aveva cominciato presto a sognare di andar lontano. Lui che rimpiangerà sempre il paese natio e vi tornerà ogni volta gli sarà possibile, a sei anni sperava già di lasciarlo. Quando zio Zaverio, nel 1888, decise di recarsi a Roma in pellegrinaggio per il cinquantesimo di sacerdozio di Leone XIII, Angelino insistette per accompagnarlo. Non immaginava che proprio Roma, fra molti anni, sarebbe stata la città della sua rivelazione, del suo ministero più alto, e della sua morte.Fu sempre un camminatore infaticabile L'esercizio dei quattordici chilometri da Sotto il Monte a Celana e da Celana a Sotto il Monte lo avevano spesso prostrato (nonostante che per un certo periodo avesse potuto ridurli a sei, vivendo presso gli zii della frazione di Caderizzi). Era stanco di quella fatica sproporzionata, di quello studio che non rendeva quanto tutti avevano sperato, di quel tempo perduto senza portare frutti d'utilità immediata in famiglia. La vocazione al sacerdozio si andava facendo sempre più chiara, ma c'erano pur sempre condizioni e difficoltà particolari da superare, una volta che il suo desiderio fosse stato esaudito dai parenti. Come avrebbero potuto provvedere i suoi alla retta di un qualsiasi seminario, anche del più povero? Il padre ci aveva già pensato più d'una volta alla soluzione del seminario. Da tempo non s'illudeva di poter contare sulle braccia del figlio, ma doveva concludere anche lui, con amarezza come cozzando contro un muro: «Figlio di un povero contadino è, e figlio di un povero contadino resterà per sempre». furono certo quelli i momenti in cui la povertà - che sarebbe stata la gloria del futuro Papa Giovanni - apparve, negli aspetti materiali che l'avvicinavano alla miseria, come l'impedimento più ostile alla vocazione del fanciullo. Pare che un giorno proprio Don Rebuzzini mostrasse ad Angelino un colletto da prete, alto e duro, e gli dicesse: «Angelino, non fare il prete. Vedi questo colletto? È così duro che a noi preti ci fa sempre qualche taglio nel collo». Il parroco non immaginava quanto poco potesse servire, per quel bambino riflessivo e incantato, un'ammonizione del genere, soprattutto se fatta in tono scherzoso; non immaginava quanto avesse invece contribuito, proprio lui, con la sua semplicità, la sua autorità, la sua carità, ad entusiasmare il ragazzo per una vita che poteva per adesso soltanto sognare, ma che sognava infallibilmente sul metro di quell'uomo tanto amato. L'ambiente in cui il futuro Papa Giovanni ha temprato la propria vocazione sacerdotale ha operato, quasi automaticamente, due influssi sul piccolo Roncalli: le condizioni di vita, le difficoltà familiari, la povertà e i disagi hanno fatto da misura ascetica agli slanci del fanciullo già tutto proteso verso Dio, e nello stesso tempo lo hanno sempre salvato dalle illusioni, da una certa spiritualità astratta, spesso più dannosa della miscredenza, mantenendolo coi piedi per terra, e aprendo nella sua personalità quella riserva di concretezza e di realismo contadino e cristiano che, insieme al "senso della sua pochezza" gli farà "buona compagnia" per tutta la vita. Gli uomini, invece, dallo zio Zaverio al padre, dalla mamma a Don Rebuzzilli, lo hanno entusiasmato e persuaso: li ha sempre visti come esempi vivi, alti eppure vicini, domestici, imitabili. Questo grande amico degli uomini, ricco di un fascino e di una simpatia di cui, qualche volta, sarà il primo a stupirsi, ha avuto la fortuna di conoscere le creature ideali nelle cascine, sui campi, nella chiesa di Sotto il Monte. Quando, a Venezia dirà al popolo che lo acclama «vengo dall'umiltà», non farà che rendere onore alla semplicità con cui gli uomini della sua infanzia e della sua fanciullezza gli hanno dato il senso di Dio e della vita, degli uomini e delle cose. La sua non sarà una fuga, ma semplicemente l'inizio di una lunga ricerca di sé stesso, sempre abbandonato alla Provvidenza, e tuttavia sempre impegnato ad approfondire la propria vita spirituale per essere pronto a un disegno che certo, allora, non avrebbe osato immaginare. Quando, molti anni dopo, vorrà spiegare il mistero di questo abbandono, non troverà di meglio, lui che provò quasi uno spavento, la prima volta che fu portato in sedia gestatoria, che prendere lo spunto proprio dalla sedia gestatoria: «È sempre il Signore che ci porta, ed è bello lasciarsi portare da lui, dovunque ci conduca». Dopo i fallimenti dell'insegnamento privato, dopo le fatiche del collegio di Celana, con la certezza che quel ragazzo non può restare in paese, il padre si decide ad accettare l'idea del seminario. D'altronde, proprio in quel periodo, s'era presentato un benefattore inatteso, uno di casa Morlani, un monsignore che aveva seguito, quasi senza parere, i progressi del piccolo Roncalli. Fu lui che si offrì di pagare la retta nel seminario di Bergamo. Venne il giorno della partenza. Chi non conosce la povertà reale di certi paesi e di certe famiglie, non riesce ad immaginare come una partenza, al di là dei sentimenti e dei drammi che spesso rivela in creature ordinariamente controllate, possa diventare in qualche modo una vera e propria "liturgia", in cui si travasa tutta l'anima di una famiglia e di un paese. Una partenza, in casa di poveri, è sempre importante, spesso decisiva. Angelino aveva la retta pagata, ma di spicciolo neanche un soldo in saccoccia. Nel fagotto, uova, formaggio, pane e salame, insieme alla ruvida biancheria contadina. Come avrebbe fatto, in città, per le spesucce immediate? Si fece una raccolta in famiglia, i pochi risparmi vennero intaccati, e Angelino partì con due lire in tasca. Due lire: un capitale, per un ragazzo povero come lui. Di ciò che lascia, dei parenti ed amici che lo salutano alla svolta della strada, porterà con sé l'immagine precisa, quasi la presenza intatta, per sempre. Non dimenticherà nulla e nessuno. La nitidezza dei suoi ricordi non si attenuerà con gli anni. Egli è il custode più preciso e fedele dei ricordi che lo riguardano. È soprattutto da lui, dalla miniera affettuosa e infallibile della sua memoria che tutti sono stati in grado, dal giorno che salì sulla cattedra di Pietro, di ricostruire le tappe del suo lungo cammino partendo dall'umiltà di Sotto il Monte. Ricordare sarà sempre, per lui, un modo di rendere omaggio, una dichiarazione d'amore. Suo fratello Zaverio lo descrive come uno che rimase sempre, nella vita, quello che era già quando si staccò dal paese e dalla famiglia: «Robusto, allegro, mai stizzito contro nessuno di carattere aperto e cordiale... Aveva una memoria di ferro. Gli bastava vedere una persona una volta sola, o leggere una frase, per ricordarsela sempre». Andandosene, portava con sé anche quel pudore contadino che è una delle forze più genuine della povera gente, che è già una virtù cristiana. Più tardi, ad esempio, annoterà con struggimento il suo amore per la mamma, alla quale sa d'aver dato qualche volta dolore, e dalla quale, a sua volta senza che lei lo volesse, è stato fatto soffrire. I poveri parlano poco, spiegano poco di ciò che sentono di più. Resistono dentro, e crescono nella pazienza. Ma già lontano, un giorno, davanti alla pagina bianca del proprio diario spirituale, Angelino Roncalli non ha saputo trattenersi. Ha scritto queste parole, per la vecchietta lontana che, in terra, non le avrebbe certo mai lette: «O madre mia, se tu potessi conoscere quanto io t'ami e quanto ti desideri contenta, no, non ti potresti contenere dalla gioia». UN LUNGO CAMMINOIl lungo viaggio di Angelo Roncalli verso il sacerdozio e il pontificato è cominciato in un giorno d'ottobre del 1892. Aveva undici anni. Andava a Bergamo, per diventare prete. Non avrebbe mai immaginato che quella era solo la prima tappa di un cammino che finirà soltanto a Roma nella grande agonia, nella morte ecumenica che avrebbe rappresentato, in senso cristiano quella che Teilhard de Chardin chiama «La messa sul mondo».Da quel giorno a quasi sessant'anni, sarà compagno di viaggio di tutti gli uomini, di quelli che credono e di quelli che non credono. Gli basterà sempre che essi lo lascino camminare al loro fianco. Non ne considererà mai nemmeno uno come nemico di sé o della Chiesa. Da Papa, confesserà a padre Weinger: «Molti si considerano nemici della Chiesa, ma la Chiesa non ha nemici». Si commuoverà piuttosto, sempre, del rispetto e della deferenza che gli uomini gli manifestano. Ha le idee chiare, sa che quell'onore è reso a Cristo che gli altri venerano in lui. Sarà zelante della difesa di quell'onore, ma la sua vita intera dimostra che lo ha sempre saputo conquistare per persuasione, più che per autorità, per simpatia più che per prestigio esteriore. Non potrà mai accettare tranquillamente del tutto gli atti d'omaggio rituale resi a lui come Papa. Anche sul più alto trono della terra, egli ha trovato modo di camminare a fianco di tutti gli uomini. È sceso verso di loro, ma li ha anche presi per mano e condotti vicino a sé. Ed essi hanno sentito di non essere soli. Il ragazzo scalzo, con le scarpe nel fagotto e due lire in tasca, che nell'ottobre del 1892 ha lasciato Sotto il Monte per Bergamo, portava già nel cuore, senza saperlo, il mistero e l'ansia di tutte le strade che portano alla verità. Gli si potrebbe applicare i versi che Paul Claudel ha dedicato a San Simone: Nulla manca a questo camminatore finché Tutti l'abbiamo sentito camminare con noi. Ci era vicino, eppure è andato sempre più avanti di noi, col suo passo di contadino sicuro, esperto della fatica e della speranza. Quando lo raggiungeremo, sarà già sugli altari. E per ringraziarlo non avremo nemmeno bisogno di inginocchiarci, ma solo da continuare, non più soli, la strada. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
Buon Pomeriggio! ::::: Grazie per la visita! |
![]() |
Copyright (c) 2002 - 13 Ago. 2025 2:35:59 pm trapaninfo.it home disclaim |
Ultima modifica : 02/01/2025 19:35:03